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Come sfatare 5 miti del Management

Sviluppiamo teorie per spiegare l’esperienza. Le teorie scientifiche che spiegano, sono molto spesso considerate universali ma successivamente si rivelano parziali.

Nella scienza la domanda chiave è: “È vero?” Nel management la domanda chiave è “Funziona?”. In questo frangente il contesto è fondamentale. Molte delle idee sviluppate dai pensatori del management sono utili in un contesto particolare. Il problema arriva quando queste idee iniziano a essere trattate come se fossero verità universali. È allora che si trasformano in miti e i miti possono portarci fuori strada.

Ecco cinque delle idee più comuni che sfociano spesso in miti che devono essere approfonditi, contestualizzati meglio quando si parla di Management.

  1. Le aziende di successo stabiliscono obiettivi ambiziosi

A volte, gli imprenditori visionari vedono la possibilità di soddisfare le esigenze dei clienti non soddisfatte in modi senza precedenti. Fissano obiettivi apparentemente impossibili, corrono enormi rischi e hanno successo. Non si sente molto parlare dei tanti imprenditori visionari che falliscono.

A volte, i CEO visionari si rendono conto che le loro aziende hanno bisogno di cambiare radicalmente il loro modo di lavorare e di fissare un obiettivo apparentemente impossibile per stimolare la creatività. Sfidano le loro organizzazioni perché si rendono conto che il rischio più grande per loro è quello di continuare a rimanere quelli che si è.

Ciò che accomuna entrambi i gruppi è che hanno una comprensione del tutto realistica del potenziale di innovazione.

Il problema arriva quando l’obiettivo non ha una logica dietro e la situazione richiede effettivamente una certa perseveranza con miglioramenti continui ma l’organizzazione non ha molto spazio per farlo.

In un ambiente incerto, scommettere su uno scenario ottimistico è particolarmente pericoloso. È più saggio seguire la regola di ridurre al minimo il massimo dei rimpianti

2. Usare gli obiettivi di performance per impostare la direzione

Per eseguire una strategia, occorre sapere quali effetti stanno avendo le azioni messe in pista e se si sta andando nella giusta direzione. Ciò comporta la misurazione di una serie di variabili, (che non sono solamente i risultati finanziari), da inserire in quello che potrebbe essere l’equivalente del cruscotto di un’auto.

La misurazione dei risultati dovrebbe costituire un sistema di supporto alle decisioni che consenta ai manager di modificare le proprie azioni e di adattarsi alla situazione mutevole.

Se si lascia che un tabellone composto da obiettivi guidi la strategia aziendale, potrebbe succede di scambiare gli obiettivi per la strategia.

Questo meccanismo, che è simile ad una trappola, si aggrava quando si cerca di gestire in base a più obiettivi. Non si deve semplicemente guardare cosa ti dicono i numeri ma per capire cosa fare, è necessaria anche una comprensione attiva di ciò che sta effettivamente accadendo.

3. Vincere “la guerra per talento”

Molto spesso la convinzione è che le prestazioni di un’azienda dipendono in misura sproporzionata dalle prestazioni di una minoranza di dipendenti, i pochi “talentuosi” che sono altamente intelligenti, altamente qualificati e altamente motivati.

Ci sono infatti alcune prove del fatto che ogni azienda ha poche risorse dotate di talento che contribuiscono in modo sproporzionato al suo successo. Di conseguenza, lo “sviluppo dei talenti” è un lavoro comune nelle risorse umane e la maggior parte delle aziende ha un programma “alto potenziale”.

Ma se il talento è una componente fondamentale per le aziende, non dobbiamo scordare che le prestazioni dell’organizzazione dipendono tanto dalle conoscenze, dal giudizio e dalle abilità dei molti “mediamente talentuosi” quanto dai “pochi molto talentuosi”. Non solo le performance aziendali dipendono anche dall’efficacia del sistema organizzativo in cui tutti lavorano. Quindi dobbiamo contemporaneamente stare attenti a concentrarci sui pochi talentuosi e a cosa intendiamo per “talento”.

4. Le aziende hanno bisogno di leader, non di manager

Per gran parte del ventesimo secolo il nucleo del lavoro di un manager è stato descritto come “amministrazione”. Quando l’Università di Harvard fondò la Harvard Graduate School of Business Administration nel 1908, i suoi laureati emersero con una qualifica chiamata “Master of Business Administration” o MBA. All’inizio degli anni ’90, è cambiato il modo di vedere e per quanto si parlasse ancora di MBA lo scopo dell’università era “educare i leader che fanno la differenza nel mondo”.

Nel 1977, uno dei professori della scuola, Abraham Zaleznik, in un articolo accademico parlando di manager e leader arrivo alla conclusione che in un ambiente stabile e prevedibile le aziende hanno bisogno di manager, ma in un mondo imprevedibile in costante cambiamento, hanno bisogno di leader.

Poiché abbiamo riconosciuto che la leadership è importante, negli ultimi anni è stata trasformata in un’ossessione e i leader in celebrità-eroi. Attribuiamo sempre più le fortune di un’azienda ai suoi dirigenti, e in particolare al suo CEO, e sempre meno all’organizzazione stessa.

Il problema fondamentale è che guidare e gestire non descrivono le attività di persone diverse, ma sono ruoli diversi svolti dalle stesse persone. Tutti i dirigenti devono sia gestire le risorse con giudizio sia guidare le proprie persone a motivarle. Alcuni sono migliori in uno rispetto all’altro, ma ogni organizzazione ha bisogno di entrambi. Se le persone altamente motivate sono mal organizzate o non hanno gli strumenti per il lavoro, non andranno da nessuna parte.

Come Zaleznik sapeva bene – e tendiamo a dimenticarlo – la leadership può essere una forza positiva o negativa. Dovremmo quindi stare attenti a come lo inculchiamo. E non dobbiamo denigrare l’attenzione del management sull’ordine e il controllo, in particolare in un ambiente in rapido cambiamento e incerto.

5. La regola è: nessuna regola 

Tutti odiamo la burocrazia. Fa perdere tempo, soffoca la creatività e concentra l’attenzione delle persone verso l’interno anziché verso l’esterno cioè verso il cliente. La maggior parte degli imprenditori, odia la burocrazia. Piuttosto che regole, struttura e processi, vogliono promuovere la libertà, la responsabilità e le prestazioni. Molte aziende cercano di seguire questo esempio.

In questo contesto le aziende si affidano alla loro cultura per creare coerenza piuttosto che al processo. Di conseguenza, le persone si sentono responsabilizzate e le idee vengono giudicate in base ai loro meriti. Tutti lavorano insieme per una visione condivisa.

Ma il rischio è che quando non ci sono regole chiare, ognuno si inventa le proprie. Valori fondamentali e principi operativi sono interpretati in modo incoerente, il che porta all’emergere di sottoculture fortemente influenzate dalle personalità degli individui più influenti. La vera scelta che abbiamo non è tra avere regole e non avere regole, ma tra avere regole buone e cattive. È proprio come la musica. Senza le regole dell’armonia, del ritmo e del tempo, la musica è solo rumore.

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